Edizione 2024

Punto e a capo

Poiché è proprio di questo che, in ultimo, si tratta,
nella vita, come nel pensiero e nella politica:
saper percepire i segni di ciò che si sta avvicinando,
di ciò che non è più tempo, ma ormai solo occasione,
percezione di un’urgenza e di un’imminenza
che richiede un gesto deciso o un’azione.
Giorgio Agamben

Dopo il naufragio, le rovine, il libro e la maternità, il nucleo metaforico attorno a cui si articolava la quinta edizione del Cima Norma Art Festival che avrebbe dovuto svolgersi dal 13 luglio al 1 settembre era quello che si è sviluppato nel corso dei secoli a partire dalla parte principale e più importante di un corpo, ovvero la testa (in italiano anche “capo”, dal latino caput).  Purtroppo in seguito alla morte a inizio giugno di Giovanni Casella, presidente della Fondazione La Fabbrica del cioccolato, e alle decisioni assunte da chi gli è subentrato, siamo stati costretti a chiudere definitivamente l’esperienza del festival. Dell’edizione 2024, il cui programma era già definito e pronto per essere presentato al pubblico, rimarrà dunque solo il libretto che come ogni anno accompagnava la mostra al centro del festival. In questa occasione, per raccogliere e testimoniare quanto fatto nel corso di questi anni, abbiamo inoltre deciso di pubblicare un volume che raccogliesse le versioni inglesi di tutti i libretti pubblicati nell’ambito del festival.

Entrambe le pubblicazioni possono essere ordinate inviando una email a info@cnaf.ch.

Il libretto in italiano di 32 pagine relativo all’edizione 2024 costa 5 franchi (incluse le spese di spedizione postali), il volume di 160 pagine in inglese in cui sono raccolti tutti i libretti prodotti dal 2020 al 2024 costa invece 15 franchi (incluse le spese di spedizione postale).

Sede del cervello e del pensiero e attraverso il volto espressione primaria dell’identità individuale, la testa è stata da sempre identificata con la parte del corpo che comanda e coordina tutte le altre, a volte da sola, a volte in una stretta dialettica con altri organi, in modo particolare il cuore. Nel medioevo questi due organi sono stati spesso utilizzati metaforicamente per indicare i due poteri principali che si contendevano il controllo della società: il potere politico incarnato dall’imperatore e quello spirituale rappresentato dal papa.
Nell’italiano odierno la parola “capo” è utilizzata più frequentemente per indicare il leader di un gruppo più o meno ampio di persone piuttosto che la parte superiore del corpo (risultando parola ormai piuttosto ricercata e desueta con questo significato). Quando usiamo la parola capo, parlando di una persona al vertice di una gerarchia, stiamo però di fatto utilizzando una metafora. Una di quelle metafore che sono da così tanto tempo entrate a far parte del nostro linguaggio che ormai non le riconosciamo più come tali.

La logica del “capo” e quindi l’idea di un’articolazione gerarchica del mondo ha dominato gran parte della storia dell’umanità e non solo in un ambito più direttamente politico, ma anche in ambito sociale (pensiamo al capofamiglia, ruolo tradizionalmente attribuito al maschio) ed economico (il capitalismo ha al centro il capitale, termine anche questo che deriva dal latino caput, ovvero il nucleo a partire dalla quale è possibile produrre la ricchezza).

La storia della modernità è però anche la storia dell’emancipazione da questa “logica del capo” a partire dal pensiero illuminista e dalla Rivoluzione francese, che non a caso ha portato, non solo metaforicamente, alla “decapitazione” di chi incarnava il potere nell’Ancien Regime. Un processo che è poi proseguito con la nascita delle democrazie parlamentari, con le lotte contro la schiavitù, con le battaglie sociali di fine Ottocento e inizio Novecento, con l’emergere del pensiero anarchico e nel secondo dopoguerra con le lotte femministe, con la contestazione del Sessantotto, con il pensiero decoloniale.

Tuttavia l’idea del “capo” non è mai morta e continua a riaffiorare, basti pensare ai totalitarismi della prima metà del Novecento, o alla più recente affermazione del sovranismo o alle torsioni autoritarie a cui sono sempre più sottoposti anche sistemi democratici consolidati. Ma la logica del capo sopravvive soprattutto nei grandi potentati economici del tardo capitalismo, che sono la massima espressione del potere a livello globale.

Il titolo di questa edizione, Punto e a capo, vuole riassumere la contraddizione che domina lo spirito del nostro tempo, sospeso tra speranza e scoramento. Da un alto indica, infatti, la necessità di un cambiamento radicale del nostro modello di vita se vogliamo evitare che il futuro drammatico che questo inizio di XXI secolo sembra preannunciare si realizzi. È un invito all’azione, un’azione che non è più procrastinabile, come ci ricorda Agamben nella citazione posta in esergo, e che fortunatamente è avvertita da molti, soprattutto dai più giovani. D’altro canto, però, l’espressione “essere punto e a capo” indica anche l’immutabilità di una situazione, il fatto di tornare sempre al punto di partenza. Un sentimento anche questo molto diffuso di fronte alla complessità e alla vastità del problema.  A livello individuale si diffonde infatti sempre di più un senso di impotenza e si fa largo l’idea che forse non riusciremo a “venirne a capo”. Anche perché la sfida è complessa, per superare la “logica del capo”, per trovare un altro del capo che non sia un altro capo o una decapitazione forse l’unica strada possibile è infatti quella di una proliferazione dei capi, per arrivare a quella società policefala che come scriveva Bataille è l’unica società veramente libera.


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